Il complesso delle grotte di S. Elia Speleota, con i resti del contiguo cenobio basiliano e delle fabbriche annesse (cantina, mulino, necropoli, palmento, ecc.), risalenti al X secolo, rappresenta oggi una delle più cospicue testimonianze archeologiche della grecità bizantina nella Calabria meridionale. Preziosi elementi per la ricostruzione del primitivo insediamento monastico di cui oggi restano ancora poche testimonianze, sono ricavabili dalle Vite di vari santi italogreci. Pare si trattasse di una moltitudine di grotte popolate da eremiti emuli dello Speleota. Esse erano ben visibili nel 1700, come testimonia Scipione Careri (Vita del glorioso S. Elia Speliota abate dell’Ordine di S. Basilio Magno, Napoli 1757): "Si veggono infino ad oggi all’intorno del Monastero molte grotticelle, a che fine non si sa, si crede però che quei santi Anacoreti si ritiravano in quelle, ad imitazione del loro padre Abbate, a far vita solitaria". Il bios dello speleota parla di una piccola grotta, la "solitaria spelonca" in cui abitava, assieme al discepolo Vitale, l’eremita Cosma.
La grotta più ampia (la "divina e famosa grotta"), che oggi è oggetto del culto popolare ripristinato nella seconda metà del secolo scorso l’unica lasciata intatta dai terribili terremoti, è alta circa 4 metri e profonda 18 (ma inizialmente aveva una profondità di circa 40 metri), ospita un altare e un fonte in pietra dove gocciola l’acqua che, secondo la tradizione, ha la “virtù di sanare”.
L’ingresso era inizialmente coperto da terra franata dalla soprastante montagna, e i primi lavori di sistemazione furono avviati, vivente lo Speleota, dagli stessi monaci per i quali il primitivo antro era diventato troppo angusto.
L’altare di marmo bianco, di costruzione recente, "nasconde nell’interno una delle nicchie più suggestive, forse l’antico altarino, con mensola e numerose iscrizioni in greco, ormai indecifrabili". Probabilmente questa nicchia è l’altare che fu edificato per volere dello Speleota e dedicato agli Apostoli Pietro e Paolo. Narra il bios che, quando tutte le grotte si riempirono di monaci, il "divino Cosma", portato alla vita solitaria, decise di allontanarsi, ma fu trattenuto da Elia. Poi ebbe in sogno la visione di tutte le grotte abitate da monaci con in mezzo Elia "come fulgida stella" e comprese che l’asceterio era destinato da Dio a trasformarsi in cenobio, per cui si allontanò con Vitale per vivere in solitudine. Il racconto attesta che già negli ultimi anni della vita del santo la trasformazione, con relativa costruzione di un convento, era in atto. Del resto uno dei miracoli narrati dall’agiografo parla del taglio di un albero che ostruiva l’accesso al monastero.
Il tempo della sua fondazione forse la fine del X secolo o al principio dell’XI, tanto più che un secondo cenobio basiliano, che trovavasi ad ottantatré metri di distanza da questa spelonca, dicesi che sia stato fondato degl’imperatori bizantini".
Nell’XI secolo il monastero "imperiale" di S. Elia aveva acquistato grandi possedimenti, fra cui la vasta contrada Bosco, e molte dipendenze e villani. Ne parla un decreto di Roberto il Guiscardo del 1062.
Nel 1162 il convento ospitava 13 tra ieromonaci e monaci (Pacomio, Nettario, Antonio, Charitone, Elia, Bartolomeo, Blasio, Jacopo, Nicodemo, Metonio, Gerasimo, Cosma, Nifone).
Nel 1325 Il monastero era incluso nelle liste delle decime come risulta dalle Collettorie dell’Archivio Segreto Vaticano, e pagava "tar. septem et gr. decem".
Nel 1457 la visita di Atanasio Calceopulo registra nel "Monasterium Sancti Eliae de Spelunca" solo due monaci e due inservienti: "invenimus abbatem Arsenium cum quoddam fratre Andriano et duobus aliis parvulinis". Il convento, soggetto alla diocesi di Mileto, è ormai "totum ruinatum".
1l 29 aprile 1551, la visitazione dell’Archimandrita d. Marcello Terracina, ordinata da Papa Giulio III, trova "tantum unum monachum graecum ordinis Sancti Basilii". Nel 1601 il monastero fu affidato ai Cavalieri di Malta dell’Ordine gerosalemitano che tenevano la Commenda di Melicuccà.
P. Fiore annovera il convento tra i "Monasteri basiliani con ancora in fiore l’osservanza monastica" nel 1743.
Nel 1748, l’Abate basiliano d. Basilio Grillo intraprese la costruzione di un nuovo monastero entro le mura di Melicuccà, in contrada Castello, ma la fabbrica si arrestò con il terremoto del 1783 che provocò la morte di tre dei nove monaci che allora vivevano nel monastero, la rovina del complesso monastico e il crollo di alcune grotte site tra l’edificio e la grotta grande, le quali furono seppellite totalmente o parzialmente da cospicui smottamenti di tufo. Ma anche prima del grande terremoto si erano verificate delle frane : nell’atto notarile dell’invenzione delle ossa del santo (1747) si dichiara che la chiesa del cenobio era già diroccata "per la sopravvenienza delle rupi superiori".
Dopo il terremoto, Ferdinando IV di Borbone decretò la soppressione dei conventi, i cui beni furono incamerati dalla Cassa Sacra e devoluti a favore dei sinistrati. Così, con la fine dell’Ordine Basiliano in Calabria, il monastero, che per oltre otto secoli aveva svolto un ruolo importantissimo, piombava nell’oblio.